Quando parliamo di marketing non convenzionale facciamo riferimento ad un nuovo modo di concepire la comunicazione e le strategie promozionali.
Lo stesso termine ci indica che si tratta di un modo di fare pubblicità assolutamente nuovo, diverso, inaspettato e, nella maggior parte dei casi, assolutamente sorprendente.
Il marketing non convenzionale viene recepito dal potenziale consumatore in maniera totalmente diversa rispetto alla pubblicità tradizionale, spesso considerata invadente e poco mirata rispetto alle proprie esigenze d’acquisto.
Il buon pubblicitario all’interno di un’agenzia creativa, in un’epoca di bombardamenti multimediali e sovresposizioni sensoriali, sa che il nuovo consumatore non è più un utente passivo, ma è sempre più un “consumattore”, un individuo che, agendo in maniera libera e disinteressata, è guidato solo dal suo istinto primordiale al momento dell’acquisto.
Sembra ormai (e per fortuna!) passata l’epoca in cui il potenziale cliente veniva considerato semplicemente come un utente passivo, incapace di decidere autonomamente sulle proprie scelte d’acquisto.
Oggi infatti sarebbe quasi impossibile e assolutamente controproducente “sparare nel mucchio” perché viviamo in una società fluida e indistinta in cui il consumatore moderno appare sempre più come un attore indiscusso, capriccioso e volitivo.
Il termine marketing non convenzionale è stato introdotto per la prima volta nel 2004 per definire un nuovo modo di approcciarsi alle strategie promozionali, creando campagne pubblicitarie. Fondamentale è il cosiddetto WOM (word of mouth), il passaparola che viene potenziato soprattutto con la diffusione capillare dei social media (Facebook, Twitter, You Tube ecc.).
La trasgressione, l’effetto “wow”, la creatività e l’innovazione sono gli ingredienti principali alla base di questa nuovo modo di comunicare.
Le principali tipologie di marketing non convenzionale sono:
- Guerilla marketing: fa leva sui meccanismi psicologici del cliente sfruttando l’effetto sorpresa.
- Product placement: consiste nel posizionamento di un prodotto o di un marchio, sul corrispettivo di un pagamento da parte dell’azienda pubblicizzata, all’interno di un contest televisivo o cinematografico.
- Buzz marketing: si basa sul passaparola virale degli utenti creato in maniera strategica per far parlare di un prodotto o di un brand.
- Ambient marketing: sfrutta l’ambiente circostante (inteso come luogo pubblico) per incontrare il target.
- Ambush marketing: si ha quando un brand si intromette in maniera non autorizzata in un evento mediatico per cercare visibilità.
- Street marketing: si svolge nelle strade e nelle città basandosi prevalentemente sul concetto di performance corporale e di spettacolarizzazione.
Quanto affermato in precedenza segue rigorosamente i dettami della tradizione manualistica e accademica, ma nel mondo reale il consumatore si lascia così fortemente coinvolgere da questo nuovo modo di fare pubblicità?
Personalmente credo di si, in quanto il potenziale cliente, pur non essendo uno sprovveduto che compra qualsiasi cosa gli capiti sotto gli occhi, va guidato, indirizzato e aiutato a scegliere tra una moltitudine di opzioni che spesso, più che fare chiarezza, lo confondono, fuorviandolo da ciò che realmente desidera.
Le community virtuali rappresentano non soltanto un punto di aggregazione, ma soprattutto un luogo di scambio in cui gli utenti possono confrontarsi reciprocamente su un brand piuttosto che su un altro.
Il digital e soprattutto i social, hanno aiutato moltissimo i consumatori, negli ultimi dieci anni, a prendere coscienza delle proprie potenzialità e del proprio ruolo.
Oggi, infatti, ci troviamo di fronte ad un consumatore sempre più obiettivo e a volte addirittura “spietato” nel giudicare la brand awarness; un “consumattore” che sa cosa vuole e come essere il protagonista indiscusso della sua esperienza d’acquisto.