La mossa è annunciata da parecchio tempo e da qui a poco diventerà realtà: Netflix, celebre servizio video on demand popolarissimo negli Stati Uniti e diffuso in una cinquantina di altri Paesi, sarà accessibile anche dall’Italia da computer, tablet, smartphone e tramite Apple Tv, Timvision e Vodafone Station (per ora). Le celebri serie tv prodotte e distribuite dal brand americano saranno così fruibili direttamente dal canale di chi le ha fatte, senza passare per le pay tv, per la gioia di pubblico e critica. Ovviamente dietro il pagamento di un abbonamento: dagli 8 ai 12 euro mensili, a seconda della qualità di trasmissione desiderata.
Gli amanti delle serie tv potranno accedere così a nuovi appassionanti avventure, eccetto qualcosina venduto prima alle pay (ad esempio House of Cards rimarrà su Sky, seppur prodotto da Netflix), e sperare magari in qualche produzione realizzata in Italia con attori nostrani. La cosa più interessante per il nostro Paese sembra proprio questa: Netflix in Italia potrebbe contribuire a un rilancio del nostro mondo dello spettacolo, producendo ed esportando poi in tutto il globo le imprese degli attori italiani più amati. Darren Nielson, una sorta di direttore dei palinsesti di quella che nei fatti è una moderna tv, ha dichiarato a Il Sole 24 Ore: “Quello che interessa a Netflix è trovare grandi storie, a prescindere dal territorio di provenienza. Che siano gli Stati Uniti o l’Inghilterra, o l’Italia, non cambia niente. (…) Siamo apertissimi ad ascoltare nuove storie e a produrle, o ad acquistarne le licenze. Abbiamo in programma grandi serie in arrivo dalla Danimarca e dall’America Latina. Non ci precludiamo alcuna strada per l’Italia”.
Ma se, fino a poche settimane fa, l’arrivo di Netflix sembrava rappresentare il crollo definitivo delle tv generaliste e – almeno – un momento di crisi per Sky e Mediaset Premium, ora – facendo analisi più mature e raffrontando la novità con quello che avviene negli altri Paesi e con le recenti mosse dello scacchiere televisivo italiano – si è un po’ rivalutato il tutto. “Siamo complementari alla pay-tv”, dicono da Netflix, insomma un ulteriore costo aggiuntivo nelle tasche delle famiglie italiane o più semplicemente il primo passo di un pubblico giovane verso il mondo dell’on demand a pagamento.
Altra cosa da considerare, dopo la virata verso il mondo dello sport di Mediaset Premium, è la svolta semi-generalista del telecomando digitale terrestre. La posizione numero 8 è stata appena acquistata da Sky che per ora ha creato Mtv8 (si dice che le cose rimarranno così soltanto fino agli EMAs, quest’anno a Milano, poi Mtv sparirà per lasciare il posto a un canale made in Sky, tipo Cielo). Un palinsesto di sport, serie, talent Sky in differita e programmi direttamente dal bouquet della pay tv satellitare. Deejay Tv, invece, non ha cambiato nome ma proprietario: acquisita da Discovery raggiunge Real Time, DMax, Giallo e compagnia bella. Anche qui, stop alla musica (fatta eccezione per il must Deejay chiama Italia) e via ai contenuti – giovani – da generalista e all’autoproduzione (con il coinvolgimento di piccole e grandi stars dello schermo).
Insomma, la semi-generalista, sta perdendo i semi e facendo fiorire l’intrattenimento. Netflix si candida, nel cuore degli italiani, a sopperire a un eventuale calo dell’offerta cinema e serie tv della pay-tv, in un mercato (come quelli spagnolo e francese) leggermente diversi da quello – sempre moderno – americano o da quelli scandinavi, più algidi e colti. Arduo compito ma partire da una nicchia di appassionati fin dal calcio d’inizio non è un brutto risultato.